Wafer datiLa consapevolezza della precarietà e la certezza che non solo la terra non è il centro dell'universo, spinge (forse) gruppi di uomini trovare soluzioni per lasciare tracce "eterne"

Alcuni manufatti umani vecchi di millenni e talvolta ancor più datati sono arrivati fino a noi, testimoniando momenti di vita, le capacità, i livelli tecnologici, ed altri importanti aspetti di quello che fu la vita per quegli uomini in quel determinato periodo.
Se nel medioevo qualcuno si era posto il problema di bandire l'uso della carta, moderno e innovativo supporto di scrittura, per i documenti ufficiali a favore della più duratura pergamena, per decenni nessuno si è posto il problema di come conservare le informazioni digitali che quotidianamente continuiamo ad ammassare.
Un tipo di informazione che peraltro ha necessità di essere mediata mediante l'utilizzo di tecnologie ed apparati estremamente complessi. Un sistema, un metodo di conservazione che ha in sé tutti gli elementi per un rapido oblio.
Dal 1956 anno in cui vennero inventati gli hard disk, di tanto in tanto qualcuno esce dal circolo tumultuoso della corsa continua all'innovazione, alla ricerca sfrenata di una maggiore densità di archiviazione e propone qualche soluzione, magari controcorrente, magari insolita ma che vuole in qualche modo preservare l'informazione, il dato, per un tempo superiore a quella manciata di anni che solitamente è la vita media di supporti e delle tecnologie di gestione. Un tempo peraltro che di anno in anno si accorcia.
Così un gruppo di ricercatori dell'Università di Twente, nei Paesi Bassi, ha deciso di trovare soluzioni nuove per conservare i dati in modo stabile e sicuro, così da garantirle la sopravvivenza per almeno 1 milione d'anni.
Le motivazioni date per giustificare un simile sforzo vanno, secondo i ricercatori, da scenari apocalittici in cui un qualche disastro devasti il pianeta e qualcuno debba poi ricostruire il mondo a situazioni più drastiche in cui la scomparsa dell'intero genere umano, lasci testimonianza, a fututi visitatori, dei livelli raggiunti, grazie al loro innovativo supporto di memorizzazione.
Tuttavia, senza necessariamente intraprendere rotte catastrofistiche potremmo, aggiungere noi, che un simile supporto potrebbe essere inviato, in future missioni interplanetarie, con messaggi e testimonianze della nostra civiltà, come è già avvenuto per le missioni Voyager
I ricercatori olandesi hanno realizzato un wafer di tungsteno immerso nei nitruro di silicio, una soluzione questa che conferisce grandi resistenze a vari fattori,  mentre i dati sono registrati sotto forma di di QR Code.
La grande capacità della tungsteno di resistere alle alte temperature e la notevole durezza dovrebbe garantire le prestazioni richieste.
In una specie di frattale i dati vengono scritti in singoli pixel che sono a loro volta dei QR Code. Un meccanismo più simile al microfilm che non agli attuali metodi di memorizzazione dati.
Centinaia di migliaia di codici compongono una struttura più grande che contiene le informazioni che vogliamo durino in "eterno".
I ricercatori hanno effettuato una serie di test abbastanza spettacolari, abbassati sul fuoco, per valutare, in base a serie di equazioni matematiche quali possano essere le reazioni di un simile prodotto in un tempo così lungo.

Al di là delle spettacolari trovate per il test, il gruppo di ricerca ha scoperto che riscaldando per un'ora il wafer a 1600° centigradi i dati restano comunque perfettamente leggibili, mentre ad una temperatura di poco superiore ai 3000° qualche informazione va persa.
Al momento il supporto non è quindi in grado di superare con successo le condizioni critiche che potrebbero svilupparsi durante un incendio.
Un buon sistema senza dubbio per immagazzinare le informazioni in modo duraturo e stabile, ma non così valido da superare le condizioni abbastanza spinte di un incendio senza l'aiuto di un qualche supporto o di un qualche ambiente in grado da preservarlo da condizioni così dure.