Internet delle coseInternet, la rete delle reti, sta lentamente estendendo le proprie radici, le proprie connessioni verso altri oggetti del mondo reale.

Più che di una necessità, di un bisogno dell'entità "Internet" si tratta di una volontà dei grandi colossi tecnologici mondiali.
Il concetto di Internet of things è entrato per la prima volta nei dibattiti della comunità informatica sul finire degli anni 90 e più precisamente nel 1999 quando Kevin Ashton, fondatore degli Auto-ID Labs del MIT in un meeting con i vertici di Procter & Gamble espose un nuovo concetto, una nuova declinazione di Internet.
Ashton fece costatare che la quasi totalità delle informazioni presenti in rete fossero il prodotto più o meno collaborativo dell'uomo. Una mole enorme di dati valutata all'epoca intorno ai 50 petabyte.
Frutto di un lavoro incessante portato avanti da persone in tutto il mondo. Un'attività che andava a popolare le vie di Geocities o dell'italianissima comunità di Clarence e di altre piattaforme analoghe.
L'analisi di Ashton metteva in evidenza che queste informazioni, essendo frutto di un lavoro certosino, ma umano, erano fattibili di errori e limitate, così si spingeva ad affermare che se avessimo dei computer in grado di sapere tutto ciò che c'è da sapere sulle cose, utilizzando i dati acquisiti senza la necessità di un intervento umano saremmo stati in grado di tracciare e classificare tutto ciò che ci circonda riducendo la quantità di rifiuti prodotti, le perdite ed i costi.
Secondo le parole di Ashton, un fine nobile e rivoluzionario che avrebbe dovuto cambiare ancora di più le nostre vite di quanto non lo abbia fatto Internet.
Una mappatura insomma virtuale del mondo reale, dove ogni oggetto, è connesso, consentendo alle persone e a questo punto anche gli oggetti di interconnettersi e dialogare fra loro.
Una specie di grande rete neurale dove i singoli oggetti divengono un pezzo di intelligenza di questa grande mente globale così da poter adattare il comportamento secondo le informazioni e le situazioni che si verificano nel mondo reale.
Un mondo utopistico ed inquietante, dove la sveglia, venendo a conoscenza delle condizioni di traffico decide di suonare prima per consentirci di arrivare puntuali in orario.
Per raggiungere questi livelli è necessario che ogni cosa, ogni oggetto sia catalogato, identificato in modo univoco, in un qualche modo, con un qualche sistema che possa trattarsi di codice a barre o sensori wireless o tag RFID in grado di comunicare informazioni circa l'oggetto e la sua posizione, ma anche altri aspetti legati alla natura stessa dell'oggetto in questione.
Progetti ed ipotesi che si sviluppano, si snodano dall'ambito domestico, dalle case domotica, a sensori stradali in grado di pilotare e gestire i flussi di traffico all'interno di una città.
Ma anche dispositivi in grado di riconoscere l'utente e quindi gestire in modo adeguato l'approccio con esso. Un mondo che forse appariva fantascientifico e per certi aspetti affascinante in quel lontano 1999 ma che giorno dopo giorno, anno dopo anno sta divenendo scenario sempre più concreto e reale.
Superate le iniziali diffidenze di alcuni paladini del diritto privato, della privacy o delle tutele individuali dei singoli, oggi in modo più o meno subdolo questa rete neurale sta prendendo forma raccogliendo e fornendo informazioni apparentemente di scarso rilievo ai grossi gruppi industriali che grazie all'uso di dispositivi elettronici e a servizi di assistenza e da altre iniziative più o meno velate raccolgono qualsiasi tipo di informazione, di dato seppur apparentemente insignificante, se preso in sé, memorizzandolo e elaborandolo con sofisticati programmi in grado di individuare punti deboli, necessità e desideri ancor prima che possiamo rendercene conto.
Uno scenario attualmente, prevalentemente sviluppato verso ambiti commerciali ma che tuttavia potrebbero rapidamente volgere verso scenari più apocalittici e prossimi a contesti orwelliani. Sebbene anche gli attuali contesti commerciali non siano il massimo dell'espressione libertaria.