Sordii e Gasman - La grande GuerraGrazie alle moderne tecnologie e alla dedizione, mirabile, di alcuni volontari, Reggio Emilia sta tributando onori ai suoi caduti nel modo migliore che si possa concepire. Non dimenticando.

Il primo conflitto mondiale è stata una guerra devastante con numeri impressionanti, non tanto determinati dalle nazioni coinvolte ma quanto da un cambiamento sociale e ancor più tecnologico che ha cambiato radicalmente il paradigma di guerra.
Un conflitto che nella sola Italia ha visto coinvolte 5.800.000 persone, su una popolazione di circa metà dell'attuale, di cui 5 milioni di soldati effettivi e di questi 4.200.000 impegnati sul fronte, gran parte contadini, che si sono trovati a combattere una guerra nuova e tecnologica.
In un misto di tecniche ispirate agli antichi assedi del medioevo, ma senza la clemenza delle condizioni meteo e delle stagioni, senza interruzioni e pause come invece avveniva nei conflitti del passato e dalle moderne nuove pratiche suggerite dai nuovi ritrovati tecnologici.
Falcidiati da malattie, dal freddo, o da altre condizioni climatiche e sterminati dalle nuove strategie di guerra condotte con grande spregiudicatezza,  gas, potenti mitragliatrici e nuovi esplosivi fecero il resto.
Una carneficina che porterà ad uccidere 420 giovani uomini al giorno, una follia che lascerà indelebili segni in ogni città, paese, e casa d'Italia.
Amos Conti e Livio Nicolini sono due ricercatori volontari dell'Istoreco (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea) di Reggio Emilia, è grazie a loro che frammenti di vite disperse qua e là fra vari documenti ufficiali disseminati nei vari archivi e a documenti forniti dai familiari o discendenti hanno ricostruito quasi 50.000 schede dei caduti delle loro terre.
Partendo dall'assunto che spesso sappiamo molto più del nostro passato remoto, che non delle cose "appena" accadute in due ricercatori hanno cercato di dare un volto, ricostruire una storia, fornire indicazioni su quello che accadde e su dove oggi riposano questi 47.700 giovani uomini.
Il loro desiderio è che anche gli altri 600.000 caduti possano essere qualcosa più che un semplice nome e cognome e una breve nota didascalica, spesso erroneamente trascritta, in uno sterile e polveroso volume, dimenticato su un qualche scaffale di un archivio.
Schede che raccontano la tragedia di famiglie, di giovani mogli e dei figli rimasti troppo presto orfani.
Storie tragiche e commoventi che descrivono meglio di qualsiasi libro, meglio di qualsiasi trattato di storia o sociale, gli effetti del conflitto.
Un'iniziativa che al di là degli indubbi meriti storici e documentali rende onore a quelle persone che non sempre in modo pienamente consapevole ha contribuito formare e consolidare la nostra nazione.
Purtroppo la memoria storica o anche solo i luoghi del ricordo o di sepoltura non sempre risultano adeguatamente conservati come invece un paese civile e rispettoso dei propri cittadini e ancor più dei propri caduti dovrebbe fare.
Impietoso è il confronto con i cimiteri militari alleati dove tutta l'area è gestita con cura maniacale come il più prezioso dei monumenti.
[...]Ma gli uomini, e specialmente gli Italiani si direbbe, sono invece smaniosi di dimenticare e quando un eroe muore loro vanno dietro ai funerali, piangono un poco, presentano le armi ma tre giorni dopo non ne vogliono sentir parlare più. Si è impazienti di dimenticare coloro che hanno meritato bene della Patria, perchè ricordo vuoi dire debito morale e i debiti si preferisce non pagarli.[...] Da Il Corriere della Sera , 13 agosto 1952 da un articolo di Dino Buzzati